Mobbing e Straining
Avete mai visto il film “Mi piace lavorare” di Francesca Comencini? È una storia, nella quale viene descritto alla perfezione un caso di Mobbing.
Anna, la protagonista, è una giovane madre separata che lavora come contabile. L’azienda per la quale lavora, viene assorbita da una multinazionale i cui vertici assicurano che nessun dipendente subirà alcuna modifica rispetto al proprio lavoro.
Anna, invece viene rimossa dal proprio ruolo, subisce un demansionamento e le vengono proposti incarichi impossibili. I colleghi la isolano e la evitano. I compiti che le sono assegnati sono sempre più demotivanti e degradanti, fino a che cade in depressione e si ammala (non spoilero il finale per chi volesse vedere questo film).
Come correttamente illustrato dal film mobbing è dunque un insieme di comportamenti aggressivi e persecutori posti in essere sul luogo di lavoro, al fine di colpire ed emarginare la persona che ne è vittima.
La persona presa di mira subisce vessazioni, demansionamento, discriminazioni e inattività forzata, e anche attacchi volti a sminuire la persona e la sua professionalità e a minarne le certezze.
Spesso, le vengono anche negati gli strumenti e le risorse per poter svolgere il proprio lavoro. La vittima piò perdere di autostima e la pressione e gli attacchi continui possono farla ammalare.
Perché si parli di Mobbing è però necessario che i comportamenti vessatori siano reiterati e continuati nel tempo.
Lo Straining si differenzia dal Mobbing perché si tratta di un singolo atto vessatorio, intenzionalmente diretto verso una persona con lo scopo di provocare un peggioramento permanente nella sua condizione lavorativa. Un trasferimento o un demansionamento, ad esempio, se messi in atto per nuocere, rientrano in questa categoria.
Per parlare di Straining, dunque, basta anche una sola azione, purché i suoi effetti siano duraturi nel tempo. Le ripercussioni dello Straining sono le stesse del Mobbing uno stress continuo e forzato che provoca un danno psico-fisico.